lunedì 30 luglio 2012

Giovani Eroi - Issunbōshi 一寸法師

Quando nacque, Issunbōshi era grande quanto la punta di un dito e così sarebbe rimasto per sempre.

Un giorno espresse ai genitori questo desiderio: "Padre, madre, ho deciso di diventare un uomo importante e per fare ciò andrò fino alla capitale".
I genitori furono d'accordo e, prima di salutarlo, vollero fargli dono di un ago, che indossò a mo' di sciabola, di una ciotola e di bacchettine da riso.
si mise in viaggio e quando arrivò nei pressi del fiume che scorreva lì vicino, mise in acqua la ciotola e usò i bastoncini da riso come remi.
Remò senza sosta e giunse alla capitale.

Girovagò un po' spaurito pre le grandi vie della città, si fermò davanti a una grossa casa.
Chiede molte volte: "E' permesso?", ma nessuno gli rispose.
Per fortuna vene fuori qualcuno, ma Issunbōshi era troppo piccolo e questa persona non riusciva a capire da dove fosse giunta la voce che aveva udito poco prima.

Finalmente fece a Issunbōshi il piacere di vederlo: era quel puntino vicino ai geta sulla soglia di casa.
E Issunbōshi trovò lavoro propio in quella casa.

Era molto ricca e elegante, trattandosi di una dimora di una principessa.

Un giorno, la principessa decise di recarsi a visitare un tempio e volle Issunbōshi al suo seguito.
Il viaggio sarebbe stato anche piacevole, se, sulla via del ritorno, non avessero incontrato due diavoli della peggior specie: il Diavolo Rosso e il Diavolo Blu.

Il Diavolo Rosso afferrò per primo Issunbōshi e stava per aggredire anche la principessa ma Issunbōshi, prontamente, scivolò giù dalla bocca del diavolo fin dentro la pancia.
Qui incominciò a punzecchiarlo con l'ago regalatogli dalla mamma.
Il diavolo prese a lamentarsi: "Che male, ah come sto male!".
Non potendone più sputò fuori Issunbōshi.

Appena fuori, Issunbōshi rischiò di essere assalito dal Diavolo Blu ma gli saltò dentro un occhio e incominciò a dimenarsi.
Il Diavolo Blu iniziò a piangere e non sapendo più cosa fare, si mise a correre, seguito a ruota dal Diavolo Rosso.

Nella fretta dalla tasca di uno dei diavoli cadde un martello di legno.
Era un martello magico e chiunque lo avesse agitato esprimendo un desiderio, sarebbe stato accontentato.

La principessa consigliò a Issunbōshi di esprimenere un desiderio ed egli chiese di diventare alto come una persona normale.
Allora la principessa agitò il martello dicendo: "Diventa grande, diventa grande" e Issunbōshi incominciò a crescere sempre di più fino a trasformarsi in un giovane di straordinaria bellezza.

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"Issun" significa 1 sun, unità di misura pari a 3,03 centimetri
Geta: sandali giapponesi di legno




Piccole tracce... Ikebana

Molta gente che ho incontrato in questi giorni mi ha fatto domande strane riguardo un antico e lontano paese nominato Giappone.
Dicono che il mio nome ha radici lontane, dicono che i miei occhi descrivono aromie asiatiche, dicono che i miei modi di fare sono frutto di una educazione ferrea.
Nella mia mente però non si è accesa nessuna fiamma, la mia memoria è ancora troppo lacunosa e non sono riuscita a rispondere a nessuna di queste gentili persone se non con un'inchino imbarazzato ed un lieve sorriso.

Due uomini, amici di Josei, sono giunti in casa tre giorni fa per trascorrere un lieto fine di settimana, lontani dal lavoro e  per stare più vicini ai boschi e ad un lago situato poco lontano da questa casa.
Sono uomini di ottimo carattere, elevata cultura e dal sorriso facile, di buona compagnia.
Hanno viaggiato molto e proprio uno di loro, guardandomi alla luce del crepuscono, mentre sorseggiavamo un ottimo tè, si è soffermato a lungo ammirando i miei tratti orientali.

Disse che le ricordavo una donna incontrata anni fa in Giappone, un paese dalle usanze antichissime e dalla cultura controversa.
Questa donna si chiamava Ryosuke ed era un'esperta nell'arte del Kadō, ora chiamata Ikebana, ovvero l'arte della disposizione dei fiori recisi, dove cielo, terra e uomo devono essere sempre in armonia.
Disse che le assomigliavo nei tratti e nell'eleganza dei gesti e delle parole.

Gli dissi che non avevo mai sentito parlare di questo paese e neanche di questa forma d'arte che tanto mi ha incuriosita ed affascinata.

Lui sorrise e mi promise di portarmi, alla sua prossima visita nella casa di Josei, un libro che prese in quel paese e di parlarmi più nel profondo della sua arte e della sua cultura così bella evariegata.

Al congedare i due ospiti tanto interessanti, con la speranza di rivederli il prima possibile per ascoltare nuovi racconti e per poter leggere qualcosa riguardo quel paese, entrai nella biblioteca personale di Josei e presi in prestito il primo libro che trovai con la scritta "Giappone".

E' un libro antico, dalla copertina color ambra scura, rigida e ben rilegata, dalle pagine sottili.
Questo libro narra di antichi racconti che narrano di animali, di eroi, di monaci, di fantasmi...racconti che racchiudono l'anima di una cultura lontana a me sconosciuta, ma che profondamente mi attrae.

Ho intenzione di trascrivere alcuni racconti su questo quaderno, così da leggerli e rileggerli e da portali sempre con me.

L'uomo che si fa chiamare Shurui prima della sua partenza mi ha consegnato un piccolo disegno fatto su di un foglio probabilmente di un quaderno simile al mio, ma molto più pregiato.
Ritrae un ikebana creato da quella donna che tanto mi somiglia.



giovedì 26 luglio 2012

Un dono dal nome Jasminum

La gentile signora che si fa chiamare Josei mi ha invitata a restare nella sua casa fino a quando non sentirò io stessa il bisogno di andare via.
Mi ha raggiunta sul portico, dove io stavo, e con un sorriso raggiante mi ha consegnato una borsa di tela scura e rovinata, un vestito elegante di seta e una chiave, per poi accompagnarmi verso quella che è ormai diventata la mia camera.

L'accesso a questa bella stanza può avvenire in due modi, uno attraversando il giardino interno, ricco di alberi in fiore ed arbusti, e l'altro utilizzando il corridoio interno, quello che collega la sala del pranzo alle stanze per il riposo.

Una volta entrata chiuse la porta alle sue spalle lasciandomi nel silenzio più assoluto.
Avevo ora a mia completa disposizione un letto forse troppo grande per una persona sola, arricchito da una coperta di una stoffa broccata color porpora; uno splendido scrittoio in legno rossicco con sedia e tutto ciò che può servire per la scrittura; un cassettone per riporre i miei pochi vestiti ed un bagno privato con teli di lino puliti ed unguenti per il corpo già posizionati.

Il giardino interno è ben illuminato e ricco di fiori, aprendo la porta di vetro si può far entrare l'odore della primavera e proprio mentre lo feci vidi quel fiore sul tavolo appena fuori.

Era un fiore bianco, debole, ma forte nello stelo.
Liscio al tatto e dai contorni variabli sul rosa ed il giallo.
Era stato potato da poco, ancora perdeva i suoi oli essenziali dall'odore delicato, ma potente.

"Si chiama Jasminum o Gelsomino"
mi disse l'uomo sbucando lentamente da dietro un'albero.

"Un nome così bello per un fiore così bello"
dissi.

"Sì, lo è. 
Ha un profumo inebriante e contiene delle proprietà curative. 
Ha mai visto un fiore di Jasminum prima d'ora?"
Mi chiese venendomi incontro sforgiando un delizioso sorriso.

"Sì"
risposi ricambiando il sorriso con in leggero inchino del capo. Gli dissi che quel fiore mi ricordavano delle mura di alcune abitazioni di un certo paese. Erano delle mura alte e completamente ricoperte da fiori gialli, bianchi, rossicci ed emanavano un'odore simile...molto dolce.

"E' un dono... per lei, con la speranza che l'aiuti a ricordare"
disse il giovane uomo indicando il fiore che avevo in mano.

Rimasi in silenzio per un attimo, cercando di mascherare con un sorriso elegante il lieve disagio che quel dono non programmato mi aveva procurato.
"Chi devo ringraziare per questo?"
domandai guardandolo in volto... un volto elegante, poco aggressivo, ma consumato dal tempo.
"Danilo, signora. Questo è il mio nome"
disse lui sorridendo di nuovo.

Feci nuovamente un debole inchino sorridendo e tenedo fra le mani quel fiore quasi addormentato
"Grazie, signor Danilo. Terrò questo fiore come un prezioso tesoro
e un lieto ricordo" 
mantenni lo sguardo basso, fino a quando la sua mano non toccò il mio mento e lo portò in alto, verso il suo.

"Spero che le porti via questo velo di tristezza"

Indietreggiai di mezzo passo
"Io non ho dolore e tristezza da portare, signore.
Ho solo un quaderno di cuoio, poche scritte che non comprendo
ed ora avrò un Jasminum tra quelle pagine.
Ma mi dica, abita qua da molto tempo?
Conosce bene Josei, la padrona di questa casa?"

Divenne d'un tratto più cupo, serioso
"No, sono in questo paese di passaggio, 
ci vengo spesso per fare delle visite a delle famiglie che ho conosciuto.
Di Josei so che è una brava padrona di casa ed una donna di buon cuore.
Conoscevo molto bene suo marito."

Sorrisi
"Josei è una donna molto buona e brava.
Mi ha accolto in casa sua come fossi sua figlia.
Di suo marito so solamente che è un mercante di stoffa, 
sempre in viaggio su dei mercanzili.
Anche lei è un mercante?"

Danilo si guardò le mani, grosse e rovinate
"No. Non sono un mercante. 
Io sono un cavaliere.
Ma come un mercante sono abituato a viaggiare molto,
so adattarmi bene"
Terminò lui senza togliere lo sguardo da quelle sue mani.

"E non sente il desiderio di rivedere la sua famiglia qualche volta?"
Chiesi.
Lui si massaggiò il collo con la mano destra e mi guardò
"La mia famiglia, ora, sono gli avventori, gli amici che ritrovo durante i miei viaggi
e le giovani ed avvenenti donne dagli occhi a mandorla.
Non mi fraintenda, vorrei tornare, ma non posso.
Sono stato cacciato molto tempo fa.
Ormai è una storia passata"
Chiuse gli occhi, come per scacciare qualche brutto pensiero e rimase in silenzio.
Mi scusai per la domanda poco discreta e lasciai correre la frase riguardanti le donne. Mi accorsi solo allora di avere ancora fra le mani il Jasminum, ormai non perdeva quasi più e stava prenendo un colore bianco sporco, ma comunque meraviglioso.

"Allora, cosa vede mentre lo guarda?"
Mi chiese il cavaliere.
Aprii meglio le mani e lo guardai


Buio improvviso.
Gli alberi in fiore erano ora come scheletri, ombre di loro stessi.
Il giardino si mosse, per via del vento.
Mi guardai intorno e non riuscii più a scorgere il cavaliere ed il cielo aveva assunto un colore violaceo.
Il fiore di Jasminum mi era caduto di mano e ora si trovava in terra, inerme e morto.
Indietreggiai fino a toccare il tavolo, era freddo, così freddo da risultare bagnato.
Sentii dei passi, lenti, impercettibili, ma c'erano.
Cercai nuovamente il cavaliere, ma non riusii a scorgere nessuno, se non quell'ombra curva dietro il piccolo frutteto.
L'ombra muoveva il capo lentamente, ondulando il corpo.
E' bastato un po' di luce in più e la vidi.
Josei se ne stava in mezzo al frutteto, con i suoi lunghi capelli color argento bene acconciati.
Aveva indosso un vestito dalle trame eleganti, di un color rosso sangue. Se ne stava là, ondeggiando il corpo come se fosse sospesa dal vento.
Mi guardò.
Gli occhi erano grandi, penetranti, rossi come il vestito.
"Shiiiiiiiiiiiii"
disse e ripetè quella strana parola come se fosse un sibilo.
Mosse la mano, mi indicò. Aveva le unghie lunghe, appuntite, laccate di nero.
Finalmente ebbi il coraggio di muovermi e con le braccia mi coprii le orecchie, chiusi d'istinto gli occhi e rimasi in quella posizione non so per quanto tempo.


"Tutto bene?"
Mi chiese il giovane cavaliere dal nome latino. Mi guardò perplesso e preoccupato al tempo stesso.
Mi ripresi lentamente.
Tutto era tornato nella normalità. Gli alberi avevano ripreso i loro fiori e i loro frutti, il cielo era di un'azzurro intenso e Josei se ne stava probabilmente nella sua camera a leggere qualche testo.

Dissi di sì, feci un'inchino e mi congedai dal cavaliere, da quel ricco giardino primaverile lasciandomi alle spalle la sensazione di desolazione provata pochi istanti prima.


Mentre stendo queste ultime righe di questa giornata inquieta e lieta allo stesso tempo ritrovo da queste pagine il Gelsomino, un po' rovinato, bianco sporco, ma dalle venature quasi scarlatte.
Cosa penso quqndo lo guardo?
Penso al tè caldo preso al crepuscolo, ai muri di quella città sconosciuta inebriati dal loro odore, penso agli unguenti che le donne si passano minuziosamente su tutto il corpo dopo un bagno caldo e penso anche un po' alla morte.


Per questo "Primo Incontro" Ringrazio: Danilo Puce